Classificazione degli oli di oliva
Olio extravergine di oliva: acidità non superiore allo 0,8%
Olio di oliva vergine: acidità non superiore allo al 2%
Olio di oliva vergine lampante: acidità superiore al 2%
Olio di oliva: ottenuto dalla miscela di olio di oliva raffinato e olio di oliva vergine, diverso dal lampante, con acidità non superiore al 2%.
Olio di sansa di oliva: ottenuto dalla miscela di olio di sansa di oliva raffinato e olio di oliva vergine, diverso dal lampante, con acidità non superiore al 1%.
Analisi olio
Analisi degli oli di oliva:
Le analisi a carico degli oli di oliva possono avere scopi diversi:
1. verificarne la genuinità e la classificazione (la dicitura posta in etichetta deve rispettare i parametri imposti dalla legge) appurarne la qualità (genuinità)
2. evidenziarne le rispondenze alle disposizioni particolari per i prodotti tipici.
Come tutti gli altri prodotti alimentari anche gli oli di oliva possono essere fregiati di marchi di qualità, come il DOP (denominazione di origine protetta), l’IGP (indicazione geografica protetta) ed il STG (specialità tradizionale garantita). Questi tre marchi vengono dati dalla comunità europea sulla base di caratteristiche qualitative particolari.
Oltre all’acidità libera, quindi, l’UE impone per questi oli un basso contenuto in acidi grassi trans, un determinato contenuto in trilinoleina (trigliceride semplice costituito da glicerolo esterificato con tre molecole di acido linoleico) e un gusto assolutamente perfetto (tramite panel test).
Acidità
alterazione di tipo lipoitico, espressa in % di acido oleico, l’acido grasso maggiormente presente in un olio da olive.
Tale parametro viene determinato mediante analisi di laboratorio, una semplice titolazione acido-base, mentre non è percepibile a livello organolettico.
Il limite di acidità per un olio extravergine di oliva è pari allo 0,8%.
L’acidità si forma a seguito della degradazione della struttura cellulare del frutto, quando l’olio, che normalmente è contenuto nel vacuolo, va a contatto con gli enzimi cellulari (lipasi), liberando acidi grassi dai trigliceridi.
Valori di acidità che tendono al limite superiore spesso indicano problemi insorti durante la filiera produttiva e sono sovente accompagnati da difetti percepibili a livello organolettico (in particolare avvinato, riscaldo, muffa).
I problemi possono essere legati:
Un’acidità molto bassa è invece segnale di una corretta filiera; è condizione necessaria, ma non sufficiente, per dimostrare un elevato livello qualitativo dell’olio; per questo diventa necessario il supporto di altri parametri qualitativi, in particolare l’esame organolettico.
Numero di Perossidi
Serve a valutare lo stato di conservabilitá di un grasso.
I perossidi sono infatti il prodotto di relazioni primarie di irrancidimento.
Alterazione di tipo ossi-dativo, sinonimo di degradazione ed invecchiamento, espressa in milliequivalenti di ossigeno per chilo di olio (meq O2/kg).
In base all’attuale normativa il limite relativo al numero di perossidi è 20, al di sopra del quale l’olio è lampante.
Un valore è buono se al di sotto di 10-12.
I perossidi si formano ad opera del ‘ossigeno dell’aria e per l’azione di alcuni enzimi specifici presenti nel frutto, le lipossidasi, che vanno a ossidare gli acidi grassi, in tutte quelle situazioni in cui lesioni cellulari permettono il contatto tra l’enzirna e l’olio.
Anche durante la conservazione dell’olio, la semplice presenza dell’ossigeno può attivare l’ossidazione chimica a carico degli acidi grassi, con conseguente formazione di idroperossidi.
La reazione, una volta avviata, procede a catena ed è irreversibile, favorita dalla luce, dal calore e dall’aria.
I perossidi sono inodori e insapori, per cui non percepibili a livello organolettico ma, essendo molto instabili, si decompongono facilmente dando luogo alla formazione di aldeidi e chetoni, responsabili del difetto di rancido.
Un elevato numero di perossidi evidenzia un processo di ossidazione già avviato e irreversibile, mentre un basso numero di perossidi non è necessariamente legato a qualità elevata, in quanto l’ossidazione può essere passata alla fase secondaria, in cui i perossidi si decompongono in aldeidi e chetoni.
È quindi necessario accompagnare l’analisi dei perossidi con l’esame spettrofotometrico e il saggio organolettico.
Costanti spettrofotometrìche
La determinazione del K232, del K270 e del AK viene realizzata con lo spettrofotometro in laboratorio mediante lettura degli assorbimenti a 232 e 270 nanometri.
I limiti per un olio extravergine sono 2,5 per il K232, 0,2 per il K270 e 0,01 per il AK.
L’analisi spettrofotometrica evidenzia processi di raffinazione o fenomeni di ossidazione e invecchiamento dell’olio.
Un aumento del K232, evidenzia un’ossidazione primaria, con formazione di perossidi, mentre un aumento del K270 evidenzia un’ossidazione secondaria, con formazione di aldeidi e chetoni.
Altri parametri chimici sono invece utili a caratterizzare l’olio, in quanto legati strettamente alla varietà e alla zona di produzione, oltre che allo stadio di maturazione.
Acidi grassi
Rapporto acidi grassi insaturi-saturi:
la composizione acidica dell’olio viene rilevata con il gas cromatografo; un maggior contenuto di acidi grassi insaturi da maggiore fluidità e maggiore gradevolezza all’assaggio; un buon contenuto in acido oleico è importante anche dal punto di vista nutrizionale.
Polifenoli totali
il parametro è stato determinato con il metodo Montedoro-Cantarelli modificato, con taratura in acido gallico, mediante lettura allo spettrofotometro, è un indice molto importante della qualità dell’olio, sia dal punto di vista organolettico che salutistico, in quanto i polifenoli conferiscono all’olio le caratteristiche di amaro e piccante e gli antiossidanti naturali proteggono sia l’olio, che le cellule dell’organismo umano dall’ossidazione.
Clorofille totali
Parametro determinato mediante lettura degli assorbimenti all’ultravioletto, correlato alla colorazione verde dell’olio, quindi importante per la tipicizzazione degli oli monovarietali.
Il contenuto tende a diminuire con la maturazione.